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I PERCORSI DELLA MEMORIA


Panorama di Paterno visto da S. Maria di Pugliano


Come, cambiando strada in un sabato di primavera, si può provare a riscoprire il passato


Nel recarmi a Paterno, partendo da Cosenza preferisco percorrere la classica vecchia strada che mi fa passare per Laurignano, Tessano e Dipignano. La mia automobile forse non è completamente d’accordo, per via di un manto stradale che definire pessimo significherebbe davvero fargli un complimento, ma sarà l’abitudine o il sentimento, ovvero l’averla fatta mille altre volte o il voler ripercorrere le volte in cui la facevo da bambino, magari in autobus, quando tornavo da scuola, il fatto è che preferisco optare sempre per quella strada. Ecco perché ho reagito assai male quando, più di quattro anni fa ormai, ho appreso della chiusura della strada tra Paterno e Dipignano, causata dalla frana che ha provocato il crollo di una casa fortunatamente vuota. Sono passati gli anni, i paternesi hanno finanche protestato in Provincia, ma la soluzione è ancora lontana.
Così, per arrivare a Paterno un sabato mattina di primavera, ho dovuto sperimentare un percorso alternativo, passando per l’autostrada, uscendo allo svincolo di Rogliano/Piano Lago e poi proseguendo per la strada nuova, inaugurata qualche anno fa, che fino a quel momento avevo percorso mio malgrado, distrattamente, solo una volta. Ebbene, dopo la noiosa tratta autostradale, fortunatamente percorsa soltanto per una dozzina di chilometri, mi sono imbattuto nel fatidico percorso inesplorato.
Già attraversando S. Maria di Pugliano, però, l’animo mi si era rasserenato: sarà stata la giornata di grazia, con uno dei primi timidi soli primaverili accompagnato da una temperatura finalmente mite, ma il paesaggio mi è sembrato bellissimo. Così, ho sentito la necessità di fermarmi davanti alla vecchia chiesetta, rinata dopo il restauro di poco più di vent’anni fa. Purtroppo la porta di ingresso era chiusa, per ovvi motivi (viene aperta solo in occasione di particolari funzioni religiose, la domenica o nei giorni della quindicina di Ferragosto), ma il piccolo piazzale aveva lo stesso un qualcosa di rasserenante e di poetico. E poi di fronte, c’era il centro abitato, che mai probabilmente avevo osservato con tanta attenzione. Ad un pendolare distratto o ad un automobilista magari capitato per caso da quelle parti potrà sembrare banale: potrebbe dire, senza suscitare fremiti di indignazione, che un mucchio di case, senza alcuno stile, forse senza alcun valore, realizzate senza un criterio urbanistico degno di tal nome, si staglia in tutta la sua pochezza e inutilità. Ma a me in quel momento, quel mucchio di case, da Capore a Casal di Basso, passando per Calendini e Merendi, è sembrato chissà quale panorama.
Risalito in macchina dopo aver scattato qualche foto, ho iniziato la discesa, restando affascinato da tutto ciò che mi si presentava davanti. Ad un certo punto, da indicazioni recepite da mio padre mi sono ricordato che da quelle parti c'era Cas’è Mauru, un vecchio casolare dove venni con la mia famiglia un sabato di ottobre di trent'anni fa per una allegra giornata di vendemmia che rimane tra gli episodi più remoti della mia infanzia. Ad un certo punto, la strada mi ha portato ad attraversare un ponticello, e a sinistra ho scorto i ruderi di quello che, mi hanno detto i miei, un tempo era un mulino: il famoso Mulinu ‘e Gennarinu, dal nome di chi doveva essere il proprietario del terreno e dell’annessa azienda, chissà quanti anni fa…

La chiesetta di S. Maria vista dalla strada che collega Pugliano al centro di Paterno


Nel frattempo, eravamo entrati nei Materali, la contrada che confina con S. Maria di Pugliano e che, assieme al Casinu (nessuna allusione strana, il nome è solo legato storicamente all’esistenza storica di un antico casale), accompagna il viandante al centro abitato. Accanto, e per una curiosa associazione logica con i resti del mulino incontrato in precedenza, l’attuale forno del paese (che continua ad averne uno, forse per rispetto del famoso proverbio delle quattro case associate…!). Intanto, da sopra, su quello che era un panorama fatto dell’azzurro del cielo e del bianco delle poche nuvole comincia a stagliarsi un profilo: è quello del Convento di S. Francesco, in un insieme che fa ben comprendere quanto piccolo, in fondo, sia questo territorio. Siamo arrivati al centro abitato, sulla strada ultimata poco più di vent’anni fa che, se la si percorre in discesa porta alla Giudeca: salendo, invece, possiamo immetterci sulla vecchia strada di collegamento tra Calendini e Casal di Basso, dove mi sarei trovato se avessi percorso la solita strada venendo da Dipignano.
Giunto a destinazione, sono contento di aver avuto l’impressione di raccogliere con lo sguardo il mio paese d’origine. E ho la presunzione di sentirlo, oggi come non mai: un centro storico parlante, che racconta la propria storia secolare, fatta di voci che hanno abitato quelle case, di gente che ha vissuto in quei luoghi e, soprattutto, ha percorso quella che, un tempo, era la stradina che portava a S. Maria, per la festa di Ferragosto.



...le tue radici danno la saggezza,
e proprio questa è forse la risposta,
e provi un grande senso di dolcezza...
(Francesco Guccini, Radici, 1972)


Luigi Caputo


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