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GIOACCHINO DA FIORE, FRANCESCO DI PAOLA E PATERNO

S. Francesco di Paola e Gioacchino da Fiore, due emblemi di fortissima spiritualità per la cristianità calabrese


Ricostruiamo il legame che unisce il mistico sangiovannese al santo paolano e alla nostra comunità


Nel 2006 cadeva il quinto centenario della nascita (27 marzo 1506) e nel 2007 cade il quinto centenario della morte (2 aprile 1507 a Tours in Francia) di S. Francesco di Paola, il Santo dei calabresi, dei marinai, dell’Europa, con chiese a lui dedicate quasi dovunque, da Napoli a Roma, da Firenze a Torino e statue o pitture nella basilica di s. Pietro a Roma, nella parrocchiale di Sinalunga, nella chiesa di s. Nicola in Staromestské a Praga, al museo del Prado a Madrid di Murillo, a Venezia del Tiepolo.
A Paterno abbiamo il quattrocentesco santuario/convento, costruito dal Santo dopo quello di Paola: E Francesco di Paola accettò l’invito dei cittadini di Paterno sol perché, a parer mio, più che altrove, in quel paesello montano il convento avrebbe potuto riuscire utile alle molte borgate vicine, di cui Paterno è il centro. Mi perdoni quella dolce e cara patria dei miei padri e dove io trascorsi la mia infanzia or pensosa or chiassosa e dove forse quel po’ di ingegno che natura mi diede si aperse innanzi al maestoso spettacolo dei monti silani, che azzurreggiavano lontano e dove dalla bocca dei vecchi appresi le fiere storie dei tempi trascorsi… io non credo che per predilezione dei cittadini di essa (Paterno), Francesco di Paola si indusse a fondare il suo secondo convento, ma perché da quel centro meglio potevasi irradiare la luce di carità che emanava dal suo cuore. Quante volte io fanciulletto ancora seduto sul rustico sedile innanzi al convento presso la fontanella che egli aveva fatto scaturire dal vivo masso e presso alla quale chissà quante volte si era riposato del lungo lavoro… a me pareva di vederne la dolce pur gagliarda figura.
Così si esprime lo scrittore Nicola Misasi (1850 – 1923) ne La mente e il cuore di Francesco di Paola (Lanciano 1907, R. Carabba editore), rimproverato aspramente da p. Giuseppe Maria Roberti O. M. di positivismo e razionalismo nel raccontare la vita di Francesco. Eppure Misasi non solo vede in Francesco il difensore degli oppressi, ma ha momenti di sentimento nostalgico, quasi affettuoso per l’infanzia trascorsa all’ombra del Santuario di Paterno e che nell’incipit del libro descrive la meraviglia di un paternese che alla vista della statua di S. Francesco nella basilica di s. Pietro, la cui immensa maestosità l’aveva oppresso, tornava ad essere sereno come nel rivedere un vecchio amico.
I paternesi di oggi, o quanti altri non so, forse hanno dimenticato il Santo che di Paterno aveva fatto la sua seconda sede, dove tornava spesso e che, presagendo di non tornare mai più in patria, lascia il 2 febbraio 1483 con un abbraccio denso di tristezza e di rassegnazione cristiana, per andare in Francia in obbedienza al Papa. A Paterno è ancora conservata come reliquia la pietra su cui rimasero impresse le orme dei suoi piedi.
La dimenticanza si evince dall’assenza di Paterno nelle manifestazioni svoltesi nel 2006 e in programma per il 2007, 5° centenario rispettivamente della nascita e della morte del Santo. Nel sito del comitato promotore manca un qualsivoglia rappresentante della comunità monastica e civile di Paterno e si riporta, giocoforza, un link, cliccando il quale viene fuori… la pubblicità di una società di siti web (!!!) e un cenno di appena una riga sul Santuario e sul miracolo della trota. Unica manifestazione, nel 2006, la presentazione del libro Contemplazioni varie su San Francesco di Paola in Paterno del concittadino p. Francesco Rubino. Malignamente potrei rilevare che Paterno farebbe poco richiamo ai cd, dvd, immagini, medaglie, poster, manifesti e libri essendo un mercato non appetibile e poco ricettivo? E dire che Paterno era predestinato nella storia, importantissima, del monachesimo in Italia e in Europa, ad essere sede di una comunità monastica!
Alla morte dell’abate Gioacchino da Fiore, avvenuta il 30 marzo 1202, quindi 304 anni prima della nascita di Francesco (e lucemi da lato il calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato – Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XII, 139-141), fondatore della Comunità monastica florense, a Fiore, nel cuore della Sila, fu affrontata la necessità, con l’autorizzazione di papa Innocenzo III del trasferimento della sede dell’ordine. Nel 1203 i Florensi si rivolsero al Papa perché intervenisse presso il vescovo e il capitolo di Cosenza ad accettare uno scambio di terreni. I monaci florensi chiedevano la località detta Botrano, proprio nei pressi di Paterno. Per quante ricerche abbia fatto, non riesco a individuare il posto ai giorni d’oggi, e che potrebbe essere lo stesso dove sorge il Santuario. Procedendo per intuito e per assonanze l'antica Botrano potrebbe essere Pugliano, ma anche Montebeltrano, Petrone, San Marco, Chiatrato, Taverna o addirittura (!) Casal di Basso ove c’erano i ranocchi (batraxos in greco) per via di abbondanza d’acqua.
Giovanni Lavigna, nel suo Gioacchino da Fiore (edizioni Pubblisfera 2004), afferma che Botrano era sito in un’ampia e ubertosa collina, ariosa e soleggiata, all’altezza di 700 metri e quindi in grado di essere una valida alternativa al monastero di Fiore, luogo posto in montagna, ventoso e freddo, per tutto l’inverno e la primavera, ed anche in estate ed autunno, non certo adatto alla vita quotidiana e allo svolgersi normale delle attività del monastero.
Diversi furono gli interventi di Innocenzo III per convincere il vescovo e il capitolo di Cosenza ed alfine intervenne un accordo di scambio di terre, inserito nell’autorizzazione papale dove si fa già riferimento all’abate Matteo e ai frati del monastero di s. Maria di Botrano... Per assonanze più dirette potrebbe essere S. Maria di Pugliano, la cui costruzione però risale forse al 1300. I florensi comunque conservavano il monastero di Fiore, per il ricordo di Gioacchino. Alfine il trasferimento, tanto bramato, non ebbe luogo, sia a motivo delle resistenze del capitolo metropolitano di Cosenza, che continuarono nonostante la bolla di Innocenzo III, e sia dei discepoli di Gioacchino, restii a lasciare la sede scelta dal fondatore, come la novella Nazareth.
E quindi Paterno non avrà una comunità monastica sino al 1444 o 1477, cioè dopo due secoli (o due secoli e mezzo a seconda dell’interpretazione sulle date di fondazione del convento, apposte sul portale, inizio e fine costruzione, oppure precedente chiesa dell’ Annunziata e successiva costruzione del convento?) Senza s. Francesco, il suo santuario, oggi cosa resterebbe a ricordare nel mondo Paterno? Forse l’eretico Apollonio Merenda, lo scrittore Nicola Misasi, il musicista Maurizio Quintieri, e soprattutto il gran numero di emigrati del secolo scorso? Ma solo S. Francesco ed il suo Santuario rimangono vivi nel ricordo e i paternesi dovrebbero essere più attenti alle ricorrenze del Santo. E’ un invito! Sarà ascoltato?

Pino Florio

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