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QUELL'ULTIMO SGUARDO VERSO LA SUA AMATA TERRA...

Il monumento al Santo all'ingresso del paese, inaugurato nel 1983


Il 2 Febbraio 1483 S. Francesco, in obbedienza al Papa, lascia Paterno e la Calabria per recarsi in Francia, al capezzale del re Luigi XI. Alla sua amata terra, un ultimo, amorevole, sguardo.


Nella seconda metà del XV secolo, gli equilibri politici in Europa erano alquanto precari, e ciascuna monarchia governava alternando l’acume diplomatico alla brutalità con cui trattava i propri sudditi. In Francia, a regnare era Luigi XI, figlio di Carlo VII, mentre a Napoli il regno d’Aragona era guidato da Ferdinando I, detto Ferrante. Un giorno del 1480 a Forges, nei dintorni di Chinon, re Luigi viene colto da un improvviso attacco di apoplessia: l’episodio, oltre a minarlo nel fisico, lo rende triste, sospettoso e terribilmente spaventato dall’idea di una morte imminente. Si affida allora alla superstizione e alla religione insieme, cercando rimedio presso stregoni, guaritori e mistici di ogni specie. Artifici che non giovano però a farlo guarire: il re continua a star male e sente sempre più vicina la propria morte. Nel 1482 un suo scudiero, Giovanni Moreau, apprende da Matteo Coppola, mercante napoletano, della presenza in un piccolo paese della Calabria, Paterno, di un eremita miracoloso chiamato Francesco, originario di Paola. Persuaso che la presenza dell’uomo di Dio possa allungargli il più possibile la vita, Luigi lo convoca attraverso una lettera che gli dovrà essere recapitata da una delegazione composta dal suo maggiordomo, Guynot de Bussières, e dallo stesso Coppola. Perché possa persuadere Francesco ad accettare l’invito, Luigi cerca di far intercedere proprio re Ferrante, a sua volta preoccupato di non scontentare la casa di Francia.
Da ricordare, peraltro, che Ferrante aveva già avuto modo di conoscere Francesco: le sue invettive con le quali l'eremita paolano ammoniva la monarchia aragonese, rea di sfruttare i poveri con tasse e angherie, erano giunte alla corte di Napoli: Ferrante aveva così inviato a Paterno i suoi soldati perché arrestassero Francesco e demolissero il convento che il religioso aveva fondato nel 1444. I militari, però, non erano riusciti ad eseguire gli ordini del tiranno, prima perché Francesco si era reso invisibile ai loro occhi, e poi perché, con parole di carità e devozione, li aveva dissuasi dal loro intento, ospitandoli nel convento, dove li aveva sfamati nonostante le poche risorse alimentari a sua disposizione. L’episodio era stato poi riportato a Ferrante, che cambiò opinione su Francesco, invitandolo anzi a costruire un convento a Napoli, dopo che nel 1477 un primo eremo era stato aperto a Castellammare di Stabia. E così, in quegli anni, due frati minimi erano arrivati a Napoli e avevano edificato una piccola cappella proprio in prossimità del luogo in cui, nel 1846, nella successiva Piazza Plebiscito, sarebbe sorta la maestosa Basilica dedicata al santo paolano.

Ma torniamo al re Luigi di Francia, che insisteva nel volere che Francesco si recasse al suo capezzale. L’intercessione di Ferrante, intanto, non era servita a nulla, poiché Francesco per ben due volte aveva rifiutato di partire. Sapeva però che, prima o poi, avrebbe dovuto lasciare Paterno e la Calabria per un “luogo lontano dove si parla un’altra lingua”: lo aveva confidato a un uomo di Figline, Antonio Teramo, come lo stesso poi avrebbe testimoniato nel processo di canonizzazione. Ferrante allora suggerisce a Luigi di rivolgersi al Papa Sisto IV, al quale Francesco aveva sempre dichiarato la propria obbedienza. Tramite il suo ambasciatore presso la Santa Sede Jean de Beaudricourt, il monarca francese chiede ed ottiene l'intervento del Pontefice: dinanzi alla volontà papale, Francesco cede, e acconsente a raggiungere la corte di Francia. Sono i primi giorni del 1483, Paterno è avvolta dalla cupa rigidità invernale, ma nella piccola comunità cala letteralmente il gelo: frate Francesco è ormai un punto di riferimento fondamentale nel cammino di fede di ciascun paternese. La sua fama di taumaturgo è ben nota in tutto il circondario: numerose e crescenti anche le presenze di religiosi suoi seguaci nei luoghi vicini, come Corigliano e Spezzano, dove l’eremita paolano aveva già fondato due conventi. Il commiato dai paternesi e dalla gente di Calabria non è affatto indolore: Francesco ha 67 anni, e sa che quel viaggio sarà, suo malgrado, l’occasione per allontanarsi definitivamente dalla sua terra. Diverse sono le testimonianze che ricordano l’addio del santo, che affida ai suoi confratelli e a tutta la comunità paternese un abbraccio denso di tristezza e di rassegnazione cristiana. Alla sorella Brigida dona un dente che si strappa di bocca senza alcun dolore: il dente è conservato ancora oggi come reliquia nel santuario di Paola. All’amico Paolo Della Porta, Francesco affida una benedizione bellissima:

“Ti accompagni sempre la grazia di Gesù Cristo,
che è il più grande e il più prezioso di tutti i doni”
.

Giunge così il 2 febbraio 1483, giorno in cui Francesco lascia Paterno e si mette in viaggio verso Napoli, dove lo attendeva la delegazione reale che lo avrebbe condotto in Francia. Nel viaggio lo accompagnano tre suoi confratelli: padre Bernardino Otranto, padre Giovanni Cadurio, suo confessore, e fra Nicola d'Alessio, che in realtà era anche suo nipote perché figlio della stessa sorella Brigida. A Padre Paolo Rendace, monaco originario di Paterno, invece, Francesco affida la reggenza del monastero paternese. L’itinerario del viaggio tocca Corigliano e Spezzano, dove Francesco si congeda dai suoi fratelli conventuali, e poi Castrovillari e Morano, dove il santo pernotta alla “Taverna Bianca”, secondo quanto riferito dal biografo P. Alfredo Bellantonio. Giunto sulle cime del Pollino, presso le rocce del monte S. Angelo, Francesco si volge a guardare per l'ultima volta la sua Calabria e, in un momento denso di forte commozione perché sa che non l’avrebbe più rivista, la benedice. Ancora oggi, a Morano e a Paterno, sono conservate come reliquie le rocce su cui rimasero impresse le sue orme. A Napoli Francesco arriva il 27 febbraio, dopo aver incontrato lungo il tragitto tanti fedeli e aver compiuto numerosi prodigi in loro soccorso. Nella capitale del regno aragonese viene ricevuto da una folla osannante: lo stesso re gli si fa incontro per riceverlo, si inginocchia al suo cospetto per riceverne la benedizione e lo abbraccia amorevolmente. Poi lo accompagna in un alloggio preparato vicino agli appartamenti reali, dove lo ospiterà fino alla sua partenza per la Francia.
Il busto ligneo del Santo conservato nel Santuario di Paterno


Sono questi i giorni nei quali Francesco farà altri miracoli, ad alcuni dei quali è lo stesso re Ferrante ad assistere. Una sera il sovrano lo spia di nascosto e lo vede in estasi al cospetto di Dio circondato da una luce sfolgorante che aveva rischiarato a giorno tutta la stanza. Un’altra volta, gli invia, tramite un suo paggio, un vassoio di pesci fritti, ma Francesco, che aveva sempre rifiutato le offerte di cibo e denaro da parte del re, ridona la vita ai pesci, e invita il re a ridare la libertà a tutti gli innocenti che ha rinchiuso ingiustamente nelle sue prigioni. E ancora, dinanzi ad un vassoio di monete d’oro, che il re gli aveva offerto per consentirgli di costruire un convento, Francesco rifiuta sdegnosamente il denaro: poi, prende una moneta dal vassoio, la spezza e mostra al sovrano il sangue che ne sgorga, quindi gli dice: “Maestà, questo oro è il sangue ingiustamente versato dai vostri sudditi a causa delle troppe tasse ingiuste!”. Ferrante, fortemente turbato, promette a Francesco di ravvedersi, ma così non sarà: il re morirà nel peccato, nel 1494, e la sua dinastia si estinguerà dopo pochi anni, come il santo stesso gli aveva predetto. Al soggiorno napoletano di Francesco è legato poi un episodio curioso: il re Ferrante aveva incaricato un pittore di ritrarre l'eremita paolano senza che lui se ne accorgesse. Il pittore riuscì nel suo intento, e la sua opera è oggi conservata nella Chiesa dell'Annunziata a Napoli. Il ritratto mostra Francesco nella posa che è ormai impressa nella memoria collettiva di ciascuno: con addosso il saio e in mano il bastone, il santo ha uno sguardo burbero e assorto insieme, chiaro e diretto, come chiaro e diretto era il suo atteggiamento verso chiunque. Per la cronaca, una copia del ritratto è conservata nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma.
P. Paolo Rendace, il monaco al quale S. Francesco affidò nel 1483 la reggenza del convento paternese


Proseguendo il viaggio per la Francia, Francesco si ferma in Vaticano a far visita al pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accoglie con estrema cordialità. Finalmente, nel maggio 1489, a più di sei anni dalla partenza dalla Calabria, il santo giunge al castello di Plessis-du-Parc, dove il re Luigi XI si trova ormai gravemente malato. Si narra che, prima di arrivare a corte, Francesco sia passato da Bormes e Frejus, liberando quelle cittadine da una terribile epidemia. Alla corte di Francia il santo paolano opera per molti anni, mantenendo uno stile di vita consono alle proprie abitudini di rigore e povertà. Grazie alla sua presenza l'atteggiamento del re Luigi verso i propri sudditi assume caratteristiche di maggiore umanità: lo stesso sovrano, nonostante l’ineluttabilità del proprio male, dal quale non riesce a guarire, proprio grazie al conforto di Francesco termina i propri giorni terreni da cristiano, morendo nel 1482. Dopo la scomparsa del sovrano, Francesco chiede di poter tornare a Paterno: ma gli eredi (prima la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII), avendo capito di avere a che fare con un vero uomo di Dio, che li consiglia e li assiste, si oppongono strenuamente. Francesco allora, già avanti con l’età, si rassegna a vivere gli ultimi anni lontano dalla sua terra.
Passa così quasi un ventennio a far diffondere l'attività monastica del suo Ordine: di questi anni (1496) è l'approvazione della Regola dei Minimi ad opera di papa Alessandro VI, nonché le fondazioni del Secondo e del Terzo Ordine (riservati rispettivamente alle religiose e ai laici). Il 2 aprile 1507, un Venerdì Santo, Francesco muore in santità, a 91 anni, dopo una vita di servizio e di testimonianza cristiana. Il corpo del religioso viene sepolto a Tours, e già sei anni dopo, nel 1513, il taumaturgo paolano è proclamato beato da Papa Leone X, lo stesso che, trascorsi altri sei anni, nel 1519 lo canonizza elevando il suo nome agli altari celesti. La sua tomba a Tours diventa continua meta di pellegrinaggi, e tutto questo fino al 1562, quando viene profanata dagli Ugonotti che bruciano il corpo del santo. I poveri resti rimasti subiscono ulteriori oltraggi nel corso della Rivoluzione Francese, ma fortunatamente non sono dispersi: nel 1803 viene ripristinato il culto delle reliquie, che successivamente sono raccolte e riunite per essere destinatarie di una giusta onorabilità. Nel 1943 Papa Pio XII, considerando il miracolo della sua traversata dello Stretto con il solo mantello, nomina S. Francesco protettore della gente di mare italiana. In questa veste, cinque anni dopo, il 31 luglio 1948, le sacre spoglie del santo ritornano nella sua amata Paterno, come testimoniato dalla lapide fatta porre a suggello di quella data sulla parete a sinistra del portale di ingresso del Santuario paternese. Ancora oggi, a oltre sessant'anni di distanza, quella lapide vuole testimoniare l’atto di devozione e di profondo affetto filiale dei paternesi verso il Santo paolano, protettore, consolatore e amico della gente di questi luoghi, che in profonda umiltà e cuore contrito, si rivolge a lui come a un solido sostegno a cui appoggiarsi in ogni momento della propria esistenza.
La figura di S. Francesco rappresenta ancora oggi un esempio purissimo di fede viva e operante, singolare nella propria unicità, e tutt’altro che antiquato. E’ un messaggio di forte spiritualità, che invita i cristiani a riconoscersi nell’amore filiale di Dio creatore, ed esorta i calabresi perché mantengano intatta la propria dignità. Lo sguardo di Francesco è sempre su di loro, oggi come in quel triste giorno di febbraio del 1483, quando salutò i paternesi per iniziare in obbedienza il suo viaggio verso la Francia.

Luigi Caputo Condividi su Facebook

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