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'A STRINA

Il mortaio e' lo strumento per eccellenza degli strinari...


Senz'essere chiamati simu venuti...: la serenata beneaugurante di inizio anno


Gli storici concordano nell'affermare che già gli antichi Greci vedevano in particolari pietanze quali le lenticchie un simbolo di abbondanza e prosperità: a ciò è legato il loro utilizzo nel rituale cenone del 31 dicembre con il quale si saluta l'anno vecchio e si attende quello nuovo con trepidazione e buoni propositi. In questo stesso contesto si colloca l'usanza dello scambio beneaugurante di doni all'inizio del nuovo anno: pare che il primo ad introdurla sia stato Tazio, re dei Sabini, che proprio l'ultimo giorno dell'anno aveva l'abitudine di recarsi nel bosco dedicato alla dea Salus o Strenia per raccogliere mazzetti di verbena che poi distribuiva agli amici e alle persone care come augurio per il nuovo anno. Da uno dei nomi della divinità, Strenia, trae origine il termine strenna, che identifica il dono fatto o ricevuto per il nuovo anno. Dalla parola strenna al termine strina il passo è brevissimo: e proprio la strina identifica uno dei massimi simboli beneauguranti che caratterizza da sempre il periodo compreso tra Natale e la festa dell'Epifania.

Iamu cantamu 'a Strina: era questa la frase ricorrente a partire dal giorno di S. Stefano e soprattutto il 31 dicembre tra i giovani di Paterno e dei paesi del circondario, che, animati di buona volontà, si organizzavano per quella che era una vera e propria cerimonia interfamiliare che non poteva non coinvolgere l'intera comunità. Nel pomeriggio i ragazzi, e a sera sino a notte gli adulti, detti anche strinari, giravano per le case di vicini e amici, e fuori dall'uscio di casa, talvolta mascherati per non essere subito riconosciuti, cantavano una canzone, appunto la strina. I più fortunati possedevano una chitarra o una fisarmonica, ma bastava un semplice mortaio di bronzo munito del relativo pestello (del tipo adoperato in cucina per pestare il sale grosso) per accompagnare la melodia che dava vita al canto. Ed era una canzone semplice, su una melodia popolare costruita con accordi di minore, ma allo stesso tempo vera, perchè il testo, a rima baciata su uno schema comune e con un ritornello composto solo da musica (che, se avete le casse accese, potete ascoltare in sottofondo), si componeva di strofe improvvisate e dedicate ad ogni componente della famiglia visitata. L'inizio del brano, cantato tradizionalmente da un solista (u cantature), era sempre lo stesso:

Senz'essere chiamati simu venuti,
ohi simu venuti,
allu patrune u via llu bon truvatu,
allu patrune u via llu bon truvatu..

A questa seguivano strofe dal tema generale ma dal contenuto sempre beneaugurante, del tipo:

chi Diu ve manni tanti boni anni,
tanti boni anni,
quantu allu munnu se spannanu panni,
quantu allu munnu se spannanu panni..

Oi c'ha fattu 'a nive alla muntagna,
oi alla muntagna,
chi Diu te guardi sa bbona cumpagna,
sa rosa russa ca teni alla bbanna,
sa rosa russa ca teni alla bbanna...

Oi c'ha fattu a nive allu Caritu,
oi allu Caritu,
chi Diu te guardi su bbonu maritu,
chi Diu te guardi su bbonu maritu...

Esse venivano intervallate da altre strofe di carattere più diretto, indirizzate a ciascuno dei membri della famiglia che stava ricevendo la strina. Nella canzone, poi, si seguiva sempre una regola di priorità, nel senso che si partiva dai più piccoli (eventuali figli e nipoti) e si finiva con 'a regina d'a casa, ossia la moglie del capofamiglia. Anch'essa, come il marito e gli altri membri della famiglia, veniva citata per nome:

...mmenzu sa casa penna na pernice,
ohi na pernice,
e a Rosina a via na 'mperatrice
e a Rosina a via na 'mperatrice

Gli stessi padroni di casa venivano citati nuovamente piu' tardi, per chiedere loro, con una buona dose di faccia tosta, di preparare cibo e vino per gli strinari, che in una strofa precedente si erano quantificati addirittura in trentatre' piu' uno:

Nu bbe' spagnati ca nun simu assaie,
oi nun simu assaie,
ca simu trentatrie e llu cantature,
ca simu trentatrie e llu cantature...

Sentu nu strusciu allu tavuatu,
oi allu tavuatu,
chissa è Rosina ccu lle supressate
chissa è Rosina ccu lle supressate...

Sentu nu strusciu allu tavuinu,
oi allu tavuinu,
chissu è Giuanne chi prepara llu vinu
chissu è Giuanne chi prepara llu vinu...

La canzone terminava sempre con la stessa strofa:

Canta llu gallu e scotua lle pinne,
scotua lle pinne,
ve damu a bona notte e jamuninne,
ve damu a bona notte e jamuninne...

In realtà, l'intenzione degli strinari non era affatto quella di andare via: questo era, più semplicemente, il segnale in codice da far recepire ai padroni di casa, che, nel frattempo, avevano provveduto ad addobbare la tavola con dolci, vino e liquori da offrire ai musicisti e cantanti improvvisati. E così tutto si concludeva in festa, prima che una nuova famiglia avrebbe aperto le porte e rifocillato ancora gli strinari.

Lu. Ca.

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